Serie TV: risorsa o dipendenza? Uno sguardo psicologico sul fenomeno del momento

Serie TV: risorsa o dipendenza?

Negli ultimi 20 anni l’intrattenimento televisivo ed il mondo del cinema hanno subito un’importante rivoluzione, caratterizzata dall’affermarsi delle serie televisive. Il fenomeno è stato favorito dal cambiamento della modalità di fruizione dei contenuti, che oggi più che mai predilige il sistema on demand. L’utente medio quindi sceglie attivamente cosa, quando e quanto guardare. È anche cambiato il modo di chiamare questi contenuti: un tempo si usava la parola telefilm, oggi serie TV, quasi ad evidenziare un senso di rottura o di evoluzione dal passato.

Perché è proprio uno psicoterapeuta a parlarvi di tutto questo? Perché scegliere (anche semplicemente cosa guardare) equivale ad affermare la propria volontà e il proprio gusto, con ottime ripercussioni su assertività e autostima. Guardare una buona serie ci fa utilizzare l’emisfero destro del cervello, l’immaginazione, promuovendo una sana evasione dalla concreta quotidianità che spesso attanaglia molti.
Nelle mie sedute mi trovo spesso a discutere di serie TV e relativi protagonisti, perché permette di accedere ad un piano più profondo a chi magari fa fatica a farlo: parlando di personaggi immaginari si finisce a parlare indirettamente di sé, dei propri vissuti e dei propri problemi.

Infatti ad oggi i contenuti a disposizione sono davvero molti e le serie più fortunate e longeve possono addirittura arrivare a proporre centinaia di episodi. La dimensione del tempo, quindi, risulta essere estremamente dilatata rispetto ad un film e questo offre all’utente la possibilità di conoscere i protagonisti in modo davvero profondo e completo. A seconda del tipo di personaggio è possibile provare un forte senso di immedesimazione oppure di presa di distanza. Nelle serie meglio studiate, comunque, è assente la netta divisione fra buono e cattivo: i personaggi sono ricchi di sfaccettature e contraddizioni, proprio come le persone che si incontrano tutti i giorni.

Una struttura del genere, quindi, fa presa sia sulle generazioni di adolescenti, desiderosi di conoscere personaggi genuini in cui potersi rispecchiare, che sugli spettatori più maturi, ovvero più critici rispetto alle schematizzazioni semplicistiche e poco realistiche che proponeva l’intrattenimento televisivo di un tempo.

Produzioni così vincenti possono però implicare anche risvolti negativi, che non sono tanto riconducibili agli effetti dell’eventuale contenuto di violenza sugli spettatori più sensibili, quanto più alla dipendenza che la narrazione diluita su più episodi crea.
Negli ultimi anni è stato coniato il termine binge watching, che identifica la pulsione a guardare episodi di serie TV in sequenza, fino ad arrivare ad estremi che implicano la perdita di contatto con la socialità o peggio ancora con la realtà.

Se stai leggendo e ti ritrovi in questa descrizione, tieni presente che il binge watching è sì molto diffuso al giorno d’oggi, ma che la patologicità dello stesso può essere valutata solo da un esperto. In questo caso è assimilabile, per quanto riguarda sia i meccanismi psichici sottostanti che la cura, ad una dipendenza vera e propria. È possibile allora che si accompagni a depressione, senso di solitudine o incapacità di gestire gli impulsi in generale (abuso di cibo o droghe). La serie TV non viene usata come strumento di ricreazione e di sana evasione, ma come un vero e proprio strumento di fuga da situazioni che creano sensazioni negative, come nel caso dell’ansia sociale.

Se hai un dubbio in tal senso potrebbe essere utile chiedere un parere ad un esperto che in modo moderno e non giudicante possa aiutarti a capire i meccanismi alla base di questa dipendenza.

Dr. Marco E. Trevisan
Centro Acacia: Psicologia e Psicoterapia - Monza


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